Scorrendo un manuale di storia della pedagogia: riflessioni in libertà (prima parte)
di Paolo Teruzzi (me ne scuso anticipatamente)
Questo lavoro seguirà essenzialmente la traccia offerta dal capitolo sulla storia della pedagogia curato da Maria Grazia Riva in "Istituzioni di pedagogia e scienze dell' educazione" di Riccardo Massa - Ed. Laterza - 1991
L' idea guida é di cercare nella storia della pedagogia elementi di contatto con i temi trattati nel corso di riqualifica per educatori professionali in servizio da me seguito e con mie esperienze professionali e di volontariato.
Note per il lettore
Il filo della narrazione e le note tratte dalle lezioni del "Corso di riqualifica per educatori professionali in servizio" saranno in carattere normale.
Le notazioni storiche verranno scritte in grassetto.
Le riflessioni più personali saranno in corsivo.
Riferendomi alle persone che fanno ricorso ai nostri servizi userò i termini di utente, paziente o ospite. Ospite rimanda a un universo di significati certamente più dignitoso. Ma alle volte, di fronte alla materialità concreta delle nostre offerte di servizio, trovo più pudico l' uso degli altri due termini.
Il modello educativo del mondo omerico
Il mio excursus storico inizia con Omero. I poemi attribuiti ad Omero sono probabilmente databili attorno al IX secolo a. C. Le vicende dei poemi invece si riferiscono ad un periodo anteriore di due, tre secoli.
La società degli Achei, protagonisti della guerra di Troia, ci appare come una società gerarchica, retta da una aristocrazia guerriera. E' un organismo che impone sinergia di tutte le componenti sociali. Tale attitudine é costruita attraverso un modello di formazione diffusa, garantita da un apparato di riti, cerimonie, agoni, celebrazioni. L' individuo non ha un riconoscimento di per sé. Premio supremo é infatti l' integrazione nella collettività.
Sparta
Altre stirpi guerriere abitano la Grecia e costruiscono la loro forza bellica su modelli educativi e sociali adeguatamente strutturati. La comunità più "pervasiva", la società più integralmente educante é Sparta (attorno al VII sec. a. C.) . Lì si realizza davvero il sogno di chi vorrebbe un totale controllo sociale dei modelli educativi. I bambini e i giovani, vivono in strutture comunitarie, staccati dalle loro famiglie. Sono figli di tutti, futuri guerrieri spartani (e tanto basta!).
Il modello educativo che si impone a Sparta é quello che nel corso di "Tecniche e metodi dell' intervento educativo e della riabilitazione psicosociale", tenuto da Stefania Stiozzi" é stato definito come fondato sulla "presenza di un persecutore" ( o modello normativo - prescrittivo), col suo autoritarismo, la sua pesante valenza ideologica, la sua violenza (i bambini "anormali" venivano soppressi alla nascita).
MI sembra opportuno dedicare qui un inciso più ampio all' analisi dei modelli relazionali e al tema della pedagogia come ideologia, affrontati durante il corso di Stefania Stiozzi già citato e durante le lezioni di Pedagogia di Cristina Palmieri. Tali concetti infatti torneranno continuamente in primo piano nel corso del mio lavoro.
IL MODELLO RELAZIONALE
Il modello relazionale é una modalità secondo cui si entra in relazione con l' utente (del nostro servizio). Ha consistenti componenti affettive, consce o no, manifeste o latenti.
L' analisi delle tematiche inconsce e degli aspetti latenti é indispensabile per padroneggiare tutti gli elementi in gioco nella relazione educativa.
Schematizzando possiamo distinguere tre modelli relazionali tipici (con rispettive risorse e limiti)
1) "MODELLO PER IDENTIFICAZIONE POSITIVA" ("L' ESEMPIO")
Utilizza l' esempio dell' educatore come motore del cambiamento.
Nella relazione educativa si struttura un transfert (una dinamica affettiva, che può esser di segno positivo o negativo). In tale transfert entrambi gli attori (educatore ed utente) trasferiscono sull' altro delle proiezioni del proprio mondo affettivo interno. Così in ogni rapporto scattano delle identificazioni in cui si mobilitano emozioni ed affetti.
Il primo incontro é spesso determinante per la qualità del transfert (é un momento cruciale dell' esperienza educativa e andrebbe preparato adeguatamente).
In questo modello relazionale gioca indubbiamente una dinamica di "seduzione" (che qui non va intesa nella solita accezione negativa). Etimologicamente secum-ducere significa condurre con sé, condurre altrove. Qui seduzione é sinonimo di promozione di cambiamento.
Così l' educazione mira a produrre spazi (interni) di novità nell' utente. Promuove nell' utente il desiderio di esplorare questi suoi spazi prima ignoti.
Molti educatori usano questo modello ed i suoi elementi (esempio, seduzione, transfert). Di solito però l' educatore lo fa inconsciamente e viene così agito da tali affetti. Occorre invece consapevolezza e padronanza delle dinamiche in gioco.
Rischi di tale modello:
(indicati distintamente in modo schematico. Nella realtà sono spesso compresenti ed interdipendenti):
- assenza di fine (afinalità).
seduco in modo inconsapevole per portere l' utente "DOVE"?.
- collusione (intesa in termini psicanalitici): attivo una relazione affettiva intensa ma non consapevole, che impone i miei schemi all' altro. L' altro deve diventare come noi vogliamo.
E' la dinamica, per esempio, per cui la madre possessiva colpevolizza le spinte, anche minime, d' autonomia, del figlio da lei dipendente.
La collusione qui si realizza in un' alleanza inconscia che stringe i due protagonisti in un circolo vizioso di reciproca dipendenza.
In un' altra accezione il termine collusione indica anche la risposta speculare (v. "fare da specchio"). Ciò succede, per esempio, quando, attraverso un meccanismo identificatorio inconsapevole, rispondiamo con aggressività speculare all' aggressivività dell' utente.
- continuo rischio di crisi della relazione
E' infatti un modello narcisistico-egocentrico in cui l' educatore é Narciso e propone all' altro di cambiare per diventare uguale a sé.
- velleitarismo/ frustrazione
E' un modello che pone la conferma dell' abilità professionale dell' educatore solo nel "successo" del programma, nell' avvenuto cambiamento dell' utente (velleitarismo, disillusioni, frustrazione).
- violenza.
Fra educatore e utente vi é una forte asimmetria verticale. L' educatore propone una propria visione del mondo e l' utente la subisce. L' educatore é il benefattore e l' utente é il bisognoso.
- dipendenza (in senso deteriore). La dipendenza può anche essere positiva in una fase iniziale, ma deve evolvere poi verso nuove modalità di autonomia.
Infatti la dipendenza é un modello circolare nel quale l' utente rischia di sviluppare una "personalità come se" (cioè un adattamento formale).
E' lo stesso meccanismo circolare che spesso sembra schiacciare il tossicodipendente nella relazione familiare. Si é rilevato frequentemente, nelle storie familiari dei tossicodipendenti, l' aspettativa che il (futuro) tossicodipendente prenda il posto di un' altra persona assente (il padre morto o andatosene ecc.). L' inevitabile senso d' inadeguatezza e frustrazione spinge alla fuga nella dipendenza da un' altra madre più rassicurante (la sostanza). A volte la tossicodipendenza sembra proprio il tentativo di uscire da tale insostenibile circolo vizioso di aspettative e imposizioni.
Chiariamo un pò meglio il circolo vizioso delle aspettative familiari sopra accennato.
Dell' origine della tossicodipendenza si danno molteplici possibili letture. Una é quella definita di tipo sistemico.
Essa considera che la famiglia sia un sistema, ovvero un dispositivo fatto di più elementi interdipendenti.
Supponiamo che A sia la madre, B il padre, e C il (futuro) tossicodipendente. Spesso accade che, nell' immaginario materno, C debba assumere un ruolo sostitutivo (prendere il posto) del padre assente (separato, morto ecc.). C sente il dovere di diventare B. Poniamo che A e B avessero un rapporto di dipendenza forte. C vivrà tale relazione (essendo immaturo o addirittura bambino) con un' affettività ancor più forte ("sono accettato solo se divento il padre"). Tale schiacciante aspettativa spinge allora il giovane (che non può che sentirsi inadeguato alle attese) a sfuggire da questo vincolo, cadendo in un' altra dipendenza (da una madre-sostanza) oppure sviluppando un disturbo psichiatrico.
In ogni caso la formazione di C si trascina sotto il peso di un legame vincolante, che non lascia spazio allo sviluppo di una propria identità.
La madre fissa il figlio in un' identificazione che lo vincola.
Lo stesso tipo di relazione si può creare anche nel rapporto operatore-utente (oltretutto in una situazione paradossale: voglio renderti autonomo e invece ti tengo dipendente). Qui l' operatore usa complicità, alleanza o alternanza di aggressione e riparazione (Melanie Klein) proprio come spesso fa la madre inadeguata.
Nel modello relazionale per identificazione positiva c' é il rischio che operatore ed utente riproducano la stessa modalità di relazione, lo stesso rapporto malato, fatto di aspettative, delusioni, ricatti: "Io, educatore, ti soddisfo se tu resti bisognoso e mi riconosci come il tuo educatore buono" (in tal modo l' utente soddisfa i bisogni di gratificazione dell' educatore).
Si crea così una reciproca dipendenza (negativa). E' un circolo chiuso che non lascia spazio al cambiamento (la conservazione é funzionale per entrambi).
Il modello "per identificazione positiva" può esser molto rigido. Tende ad imporre soluzioni date e ricette universalmente valide: "Tu devi fare quel che voglio io!".
Sovente tale messaggio non é esplicito; e ciò ne fa un modello ancor più vincolante di quello normativo.
Questa relazione a forte valenza affettiva spesso funziona (in modo inconscio) anche nella comunità o dentro l' équipe. Per il nostro lavoro è invece indispensabile esplicitare (e governare) tutte queste dinamiche latenti.
Accanto ai rischi tale modello ha, ovviamente, delle risorse:
- possibilità di padroneggiare consapevolemente gli strumenti della relazione.
Complicità, alleanza, dipendenza, seduzione, esempio, transfert sono tutti elementi inevitabili e fondamentali in ogni relazione educativa (si pensi a quella che viene definita come "alleanza educativa" o "alleanza terapeutica").
L' educatore deve saper utilizzare e governare tutti questi sentimenti finché ciò é utile e funzionale. Poi deve riuscire a reggere anche il momento inevitabile della disconferma. L' altro prima o poi dovrà attaccarmi per uscire con un modello suo e non mio (anche se in realtà qualche sintesi fra il suo e il mio rimane sempre, al di là delle apparenze). Quando l' utente raggiunge la propria autonomia l' educatore non serve più.
Per inciso spesso mi é parso di rilevare nell' educatore ex-tossicodipendente la difficoltà ad uscire da tale relazione di dipendenza e la tendenza a riprodurla continuamente anche nel legame con l' utente. Nell' operatore ex-tossicodipendente mi pare di cogliere alle volte un bisogno totalizzante di appartenenza (che ad un certo punto invece va lasciata se si vuole trovare davvero una propria identità). Da qui l' assolutizzazione della norma, l' asservimento alla figura carismatica e l' incapacità di leggere in chiave evolutiva il senso della trasgressione compiuta dall' utente.
Del resto questo modello a forte valenza affettiva (con dipendenze reciproche, significati non detti, valori inespressi) funziona spesso anche all' interno dell' équipe e nella struttura. Allora si lavora in termini di alleanza/tradimento. Si alimenta il mito per nascondere l' incompetenza pedagogica (la mia incompetenza come formatore). Tutti questi elementi sotterranei, latenti, inconsapevoli, vanno invece portati alla luce ed esplicitati.
2) MODELLO "BASATO SULLA PRESENZA DI UN PERSECUTORE":
E' un modello prescrittivo, normativo, per "assolvimento del compito". L' utente deve adeguarsi alle "norme", inevitabilmente sentite come rigide, estranee e persecutorie.
Regolamenta la vita del soggetto (invasione della privacy, controllo della corrispondenza
e dell' immagine esteriore ecc.).
E' un modello a forte componenete ideologica.
Risorse del modello (se correttamente usato):
- impone storicizzazione della regola.
Una regola da ripensare sempre nel "qui ed ora"
- contenimento
Inteso come: spazio fisico/ regole/ capacità interne dell' operatore. Le capacità interne dell' operatore consentono di "contenere accogliendo" anche le parti fastidiose, ancora frammentate, dell' altro. Tale atteggiamento non é lassismo, ma una intenzione dell' educatore (che può usare a volte come risorsa perfino la propria vulnerabilità). Contenere accogliendo aspira (col tempo) alla interiorizzazione della norma (da parte dell' utente).
Rischi ((legati alla assolutizzazione del modello):
- il peso dei "devo" (dispositivi etico-valoriali)
il "non si può" é già una cosa diversa, che rinvia ad un orizzonte (per quanto limitato) di possibilità.
- la componente ideologica sottostante
- il riferimento implicito ad una idea di salute istituzionale
- la violenza (istituzionale - educativa)
- la perdita di creatività (del progetto, della comunità, degli operatori e della stessa interiorità dell' utente).
- il conservatorismo
E' un modello statico in cui la messa in discussione é solo apparente e che mira all' autoconservazione.
- l' arroccamento sulla regola.
La regola inflessibile, astorica e assoluta é una trincea molto fragile da difendere.
- l' autoritarismo (che non é autorevolezza)
- l' astoricità
C' é riferimento ad un "dovere" astorico; nessuna lettura del "qui ed ora".
Questo approccio sfocia spesso nella collusione e in "agiti istituzionali" (prese di posizione della istituzione) che rispondono specularmente agli "agiti" degli utenti ( operatori ed utenti speculari).
Spesso il progetto elaborato sulla base di tali premesse é inevitabilmente antieducativo.
3) MODELLO DI EDUCAZIONE/COMUNICAZIONE NON VIOLENTA
Andrea Canevaro lo descrive attraverso tre punti.
A) CONTRASTI (SFUMATURE)
B) ABILITA' DEL RICEVENTE
C) ALTERITA'
Punto A : CONTRASTI/ SFUMATURE
In questo modello anziché i contrasti (bianco/nero) si privilegiano le sfumature (che in una progressione continua stanno fra gli estremi). Le sfumature sono funzionali al passaggio successivo. Evviva le vie di mezzo!
Punto B : L' ABILITA' DEL RICEVENTE
E' il ricevente (ad es. l' educatore che riceve il messaggio) a costruire il senso della comunicazione. Meglio ancora: é il contesto che noi (riceventi) creiamo che fa emergere il senso. Ponendosi in tale ottica, anche una aggressione o una trasgressione possono trovare un senso diverso ("cosa voleva dire?"). Per far ciò occorre però conoscere la storia dell' altro e saper costruire con creatività un contesto nuovo, nel quale il messaggio assuma un senso nuovo. Occorre ""intenzionare" qualcosa di usuale per farne un uso nuovo. Occorre imparare a leggere i bisogni dell' altro ( e ciò impone una autoformazione permanente). Occorre anche una sospensione del giudizio (sull' altro e su come l' altro interpreta la realtà).
Punto C : L' ALTERITA'
L' altro non é mai oggetto, cosa.
Ciò impone il controllo del potere che esercitiamo (ad esempio col linguaggio). Il fine educativo non giustifica mai l' uso di un mezzo violento. Solo il rispetto dell' altro ci da la possibilità di costruire qualcosa con lui.
Ancora Canevaro, nel descrivere il terzo modello ci invita a "disimparare il modello tradizionale di educazione" per costruirne uno nuovo fondato su:
- abilità del ricevente
- sfumature
- lettura dei bisogni dell' altro
- autoformazione
- sospensione del giudizio
- non imposizione di soluzioni e modelli
- non etichettare
- ricontrattare ogni volta la regola nel qui ed ora
- leggerezza
- originalità
- passare dal "progetto per" a un "progetto con"
- costruire un progetto comune
- prendersi cura
- essere ospite nella storia dell' altro
- aver attenzione alla storia dell' altro
- creare "ponti relazionali"
- promuovere la responsabilità individuale
- essere "con loro" (gli "utenti" ecc.) più che "per loro"
- rivelare (esplicitare e padroneggiare) i sentimenti (dell' operatore e dell' utente).
In definitiva tale terzo modello si delinea come un atteggiamento esistenziale (una ipotesi positiva sul percorso altrui).
Note conclusive sui modelli relazionali
Tutto ciò presuppone la costruzione di una autonomia e di una professionalità dell' educatore.
L' esperienza educativa infatti ha una propria materialità e il lavoro dell' educazione é concreto e si svolge nel "qui ed ora". Ma é anche pensiero, progetto, verifica.
Anche il linguaggio esige una particolare attenzione perché esso, anche inconsapevolemente, interpreta, da giudizi, sottintende valori ecc. (ad esempio il termine "agito" non é affatto sinonimo di azione; così come é assai differente parlare di pazienti, di utenti o di ospiti).
Occorre autoanalisi e analisi del nostro linguaggio (che é potere).
Per tutto ciò la supervisione dell' équipe educativa va fatta da pedagogisti e non da analisti.
Gli educatori devono essere esperti della comunicazione. Debbono saper creare un setting pedagogico (utilizzando vari strumenti), osservare il "qui ed ora" (come dice Bettelheim ne "L' arte dell' ovvio") e curare il dettaglio. Ma per far ciò occorre amare il processo educativo.
Per un lavoro corretto é indispensabile porci costantemente queste domande:
- che tipo di modello esplicito di educazione proponiamo e che tipo di modello implicito passiamo nei fatti?
- che persona vogliamo formare?
- che idea di salute perseguiamo?
Salute come mera riduzione del sintomo o salute come sviluppo di una personalità più armonica?
Le nostre istituzioni non devono mirare esclusivamente alla eliminazione del sintomo, ma alla formazione della personalità, perché é quella che spesso manca in chi ricorre ai nostri servizi. O se c' é, ha spesso una struttura infantile, preadolescenziale, che é interamente da formare. Spesso, tolta la corazza del sintomo sotto resta il nulla.
L' impostazione centrata sulla riduzione del sintomo rinvia inoltre al problema delle violenze dell' istituzione (vedi "Le Patriarche"). Va bene ridurre il sintomo, ma a che prezzo? A "Le Patriarche" il probelma é di come si possano educare i ragazzi nonostante loro. Spesso la colpevolizzazione permea tutto il percorso, anche simbolicamente. Così il taglio di barba e baffi é una "regola camuffata". Sembra una regola ed é invece una visione ideologica: l'identificazione di chi ha barba e baffi col tossicodipendente. Se si riflette, i simboli di questo tipo sono stati il potere dell' olocausto.
La pedagogia come ideologia
Per inciso ricordiamo che tale tema é stato ampiamente trattato nel corso di Pedagogia generale.
Già agli inizi del 1900 Husserl afferma: il mondo che io conosco é un mio fenomeno (co-costruzione del reale attraverso le mie esperienze e i miei strumenti di conoscenza. Quella fra il mondo ed io che conosco é una inestricabile interrelazione strutturale).
L' oggettività é dunque piuttosto intersoggettività, cioè la costruzione comune di una visione comune (del resto gli individui sono diversi ma hanno strutture, anche cognitive, comuni).
Tale costruzione poi evolve continuamente. Questo vale per la conoscenza in generale ma anche per lo sviluppo del singolo individuo. La sua conoscenza, infatti, si allarga e cresce secondo un movimento a spirali sempre più ampie, che gli offrono infiniti punti di vista e lo pongono nella necessità di imparare ad aprirsi a sempre nuove esperienze e possibilità.
Da Husserl in poi é chiaro che ognuno (tossicodipendente compreso) ha un proprio punto di vista, una propria lettura della realtà. E che l' importante é sapersi confrontare. Esistono infatti infiniti (nello spazio e nel tempo) punti d' osservazione della realtà.
Ogni punto di vista propone un' altra verità, con la quale posso confrontarmi solo se so entrare in contatto con la cultura dell' altro (meccanismo di transizionalità): si pensi ad esempio alla realtà come é vissuta da un animista africano o da un indiano d' America!
La pedagogia dunque costruisce dei modelli, delle visioni del mondo. In questo senso é ideologica. E ci fa spostare dal piano della scienza a quello dell' interpretazione (congettura da rimandare all' altro per un confronto).
L' importante dunque é che siamo consapevoli che vi sono vari modelli di educazione, tutti artificiali, costruiti in un "farsi" e, si auspica, in un confronto continuo ed aperto .
Ne esce un concetto di educazione più complesso, che non si accontenta di dagnosi ed etichette e non intende imporre all' altro proprie ricette (più o meno comportamentiste).
Qui l' approccio da scientifico diviene interpretativo (che resta scientifico ma in un modo diverso).
La formazione é allora la conoscenza dell' altro (e della realtà) come spirale, continuo farsi di teorie interpretative, verifiche, aggiustamenti.
Il metodo stesso é costruito con l' altro e servirà all' altro per la sua emancipazione.
Su di un piano più direttamente "politico" fu il movimento del '68 a rivendicare il diritto all' emancipazione e alla mobilità sociale, all' istruzione come liberazione.
Si iniziò allora a denunciare la funzione ideologica della scuola e a lottare contro le "istituzioni totali". Si svilupparono così i movimenti dell' "antipsichiatria" e per la "descolarizzazione".
Don Milani e la Scuola di Francoforte evidenziarono il ruolo di conservazione della stratificazione sociale ricoperto dalla scuola e la sua funzione discriminatoria. Don Milani mostrò, ad esempio, che privilegiare il linguaggio verbale rispetto ad altri possibili o valorizzare gli aspetti intellettuali rispetto a quelli pratici significa favorire automaticamente (e in modo occulto) le classi più elevate rispetto a quelle svantaggiate.
Dell' educazione dunque si svelò la funzione ideologica di conservazione dello status quo e di occultamento.
Da tutto il lavoro degli anni '70 emerse anche l' idea di salute come equilibrio fra corpo e mente in un tutto (ambiente sociale compreso) .
Prima la medicina (che enfatizzava il proprio carattere di "scienza esatta") prevaleva sulla pedagogia. Essa aveva una attenzione settoriale rivolta al singolo organo malato; etichettava poi le persone, definendo il loro essere.
Il movimento del 68 invece rivendicò spazio ad una pedagogia che sappia "sospendere la diagnosi" per indagare nuove possibilità di intervento. Di qui le critiche alla medicalizzazione del disagio psichico e della tossicodipendenza.
Ritorniamo ora alla storia della pedagogia.
Declino della società spartana
In effetti per un pò a Sparta tutto sembra sotto controllo. I cittadini - guerrieri sono forti e fedeli. Sono appiattiti su questa loro "monoidentità" (che é anch' essa funzionale alla conservazione, al non cambiamento). Tutta la società é una grande macchina scenica, un dispositivo teatrale che insegna ad ognuno il proprio ruolo sociale. Il rispetto della regola é istillato fin dalla prima infanzia e la norma é interiorizzata.
Ma la società spartana riproduce sé stessa in modo ripetitivo. Si arrocca in difesa di un modello assoluto ed astorico e alla fine perde creatività e si impoverisce.
La comunità riabilitativa di stampo "spartano" :
Esagerando un poco i toni é possibile riconoscere un' analogia fra il mondo spartano ed il mondo delle comunità per tossicodipendenti di un passato recente.
Fino a poco fa, infatti, la comunità per tossicodipendenti si configurava decisamente come struttura gerarchica, fondata su una aristocrazia di sangue (il capo carismatico ed i suoi seguaci) e governata operativamente dai fedeli liberti (gli schiavi liberati...dalla droga).
Tale impostazione richiama uno dei modelli educativi descritti nel corso di Stefania StiozzI : il modello fondato sulla "presenza di un persecutore. Caratteristico é l' uso all' interno di esso del carisma come surrogato della competenza pedagogica.
L' idea che ne emerge é quella di educazione intesa in senso prescrittivo e normativo. L' enfasi é posta sulla trasmissione di valori e regole. L' orizzonte etico attiene al "dover essere" e poggia su un "pensiero forte" che si sente padrone della verità (note tratte dal corso di Pedagogia Generale).
In queste storiche strutture riabilitative l' appartenenza è un valore fondante e sicuramente il rispetto della "missione comunitaria" è preminente rispetto alle esigenze dell' autonomia individuale.
Molti altri aspetti della vita quotidiana rimandano ad una visione gerarchica e collettiva: la struttura piramidale riprodotta a tutti i livelli decisionali, anche infimi, della vita comunitaria; la cura del rito, del tempo e dello spazio comunitario; la definizione di ogni aspetto della vita pubblica (in quanto la vita privata, in tale ottica, non ha più un senso e risulta anzi in contrasto con gli interessi collettivi); il capo carismatico stesso, novello Ulisse che, legato saldamente all' albero maestro della propria "filosofia" resiste al richiamo delle sirene-sostanze e salvaguarda i suoi dal pericolo, limitando, per il loro bene, la loro libertà e le loro stesse risorse (l' udito ecc.). E' lui che impone la propria idea di salute, realizzata, al di là delle dichiarazioni d' intenti, tutta sul versante della riduzione del sintomo (piuttosto che su quello dello sviluppo dell' autocoscienza).
Dal corso di pedagogia generale traiamo questa distinzione:
l' educazione può esser considerata in riferimento a:
1) soggetto
2) soggetto + gli altri
3) soggetto + l' ambiente
Nel modello di comunità terapeutica sopra descritto il programma riabilitativo pare centrato interamente sugli aspetti 2 e 3, mentre il soggetto nella sua specificità individuale pare essere una variabile secondaria.
Il soggetto entra in gioco solo in quanto problema (fonte di disagio per gli altri e per l' ambiente sociale).
A lui non si offre di sperimentare nuove vie, nuove possibilità, di scoprire una molteplicità di identità (corso di metodi) o le mille sfaccettature dell' identità di ognuno (corso di pedagogia).
La sua identità di tossicodipendente basta e avanza. Anzi, per sottolineare che questo é il problema, al suo ingresso il tossicodipendente, già solitamente dotato di un fragile senso della propria identità, viene "accolto" con ulteriori misure di "normalizzazione" e "massificazione": la perquisizione di rito; il taglio di barba, baffi e capelli lunghi; la consegna all' operatore - guardia di orecchini ed anelli e soprattutto dell' orologio, a rimarcare il fatto che d' ora in poi il tempo di ciascuno é finito e rimane solo il tempo terapeutico, uguale per tutti, scandito dalla struttura e riempito di attività riabilitative.
Un tempo pieno ed uniforme ("terapeutizzato", indaffarato ma senza spazi di riflessione o rielaborazione personali, tanto per la struttura e gli operatori che per gli utenti).
Anche la durata del programma si modella sull' idea di un percorso di riadattamento uguale per tutti. Chi si impegna ed ha normali risorse, in un tempo dato deve essere in grado di risalire la china e di riconquistare, salto dopo salto, il diritto alla sua libertà.
E' un' idea di riabilitazione come percorso automatico, che, per "assolvimento del compito" conduce di gradino in gradino alla fine.
Il dinamismo é ridotto allo scatto atteso di tanto in tanto (quando il programma lo prevede). Non v' è alcuna consapevolezza del fatto che ogni percorso di cambiamento ha tempi personali.
Il "tempo del formando" infatti é necessariamente diverso dal "tempo del formatore" e la scansione del tempo del formando va rispettata se si vuole che il processo di cambiamento si dia.
L' idea di comunicazione sottesa al modello riabilitativo che stiamo (un pò ferocemente) descrivendo é quella di una trasmissione univoca. Chi parla detiene la verità e sa come inviare il messaggio corretto. Il ricevente, passivo, deve solo ascoltare. Il messaggio taumaturgico poi lo attiverà nel solo modo utile: quello della "mimesi" (imitazione del "maestro").
Gli stimoli sono ridotti al minimo perché se ne teme un effetto poco controllabile. E' un modello che mira appunto al controllo totale (come il canonico di Balzac); che cammina fra binari precisi verso una meta chiara ma povera, la riduzione del sintomo. Il contrario di quel movimento spiraliforme, fatto di continui nuovi incontri ed esperienze, di costanti destrutturazioni e "ricollettazioni" del nostro modo d' essere e pensare grazie al quale, secondo Franza, la nostra identità si forma ed evolve continuamente.
Ma, dati i presupposti, la scelta é obbligata. L' obiettivo definito in partenza non é infatti lo sviluppo di una personalità armonica e complessa. La riabilitazione rinuncia ad ogni spinta utopica; si accontenta di una mira "realistica". Riproduce infondo l' approccio settorialistico della medicina "positiva" (eliminare il sintomo più che mirare al benessere generale dell' uomo).
Si teme anzi che un ampliamento dell' "autonomia cognitiva di valutazione degli eventi" (v. corso di metodi) possa indebolire il potere della struttura e la sua capacità di attivare una "dipendenza positiva" mediante i suoi strumenti: il mito dell' appartenenza e del carisma; la "filosofia" della strutura riabilitativa, sempre declamata e spesso del tutto contraddetta dai fatti ( fatti nei quali poi consiste il reale "farsi" dell' educazione); la suggestione del rito e del luogo ( i "luoghi della formazione", elemento fondamentale del dispositivo scenico di cui l' educazione inevitabilmente si serve).
La lettura offerta sopra é volutamente paradossale e di certo un modello riabilitativo così primitivo, almeno sul piano teorico, é stato ormai abbandonato da tutti.
Ma io credo che il rischio di "riesumare" alcune delle sue "tecniche", magari in modo inconsapevole e latente (il che ne accentua la forza di condizionamento sotterraneo) sia vivo ancor oggi in molti dei nostri programmi riabilitativi per le tossicodipendenze.
Atene
L' onnipotente volontà di controllo che ognuno di noi probabilmente cela nel profondo, dovrebbe poter apprendere qualcosa anche dalla storia di Sparta.
La "macchina da guerra" spartana viene infatti spazzata via da Atene (VI - V - IV secolo a. C.) che va elaborando un' idea di stato, di cittadinanza e di cultura del tutto nuove. Idee che sono i prodromi della civiltà occidentale che ancor oggi riconosce in Atene, e successivamente nella cultura latina, le proprie radici.
Già nel VI secolo a. C. Solone introduce leggi scritte (che limitano il potere dell' aristocrazia) e l' idea stessa del diritto come base della società. Nei periodi di maggior democratizzazione le cariche pubbliche sono estratte a sorte (pur restando sostanzialmente escluse dalla vita pubblica tanto le donne che gli schiavi e gli stranieri).
Solone, come collaboratore, potrebbe utilmente rammentarci il carattere contrattuale del nostro rapporto coi servizi (i "servizi invianti") e con l' utenza. I servizi devono impegnarsi (nero su bianco) a rispettare gli impegni presi (ben definendone i limiti). Devono collaborare altresì alla definizione (sempre dinamica) di un progetto per, e soprattutto con l' utente.
L' utente ci consegna temporaneamente parte (la più piccola possibile) della sua libertà secondo accordi definiti. Questo patto fa sì che il fine (la ricostruita autonomia dell' utente) non giustifichi mai mezzi violenti o irrispettosi della dignità dell' altro.
Infondo da Solone e dalla sua idea del diritto discende direttamente il modello di educazione non violenta fondato sul rispetto dell' alterità (i diritti dell' altro, appunto), sulla capacità di leggere i bisogni dell' altro , di conoscerne il passato, di essere ospiti nella sua storia ecc.
La polis ateniese offre ad ogni cittadino (con le limitazioni sopra indicate) la possibilità di diventare amministratore pubblico. Così noi dovremmo poter offrire ai nostri ospiti una educazione come proposta di possibilità esistenziali.
Declino di Atene
Anche Atene declina. I grandi valori di impegno civile della polis entrano in crisi. I Sofisti (2^ metà del V sec. e 1^ metà del IV sec. a.C.) si impegnano in dotte disquisizioni sui temi più svariati e vengono spesso accusati di relativismo etico. Fanno i docenti a pagamento e per la prima volta essi affermano che la cultura é insegnabile e che essa può servire per persuadere e per conquistare le leve del potere. Insegnano anche tecniche per la memorizzazione.
i Sofisti in comunità:
I Sofisti potrebbero aiutarci a smontare "le filosofie" che spesso gravano come una cappa dogmatica sui nostri programmi ribilitativi.
Ci insegnano che la pedagogia é fatta anche di tecniche e pratiche.
Vittime del "crollo delle ideologie" hanno però enfatizzato (narcisisticamente) le loro capacità (tecniche) di seduzione e persuasione.
Assomigliano in ciò alla peggior versione dell' educatore del modello per identificazione positiva (che si fonda sul' "esempio") e a noi quando si crede che tutto dipenda dalle nostre capacità di forgiare il nuovo utente (mentre, al massimo arriviamo a "manipolarlo").
I Sofisti finiscono per credere all' idea di comunicazione come trasmissione univoca (tutto dipende dalla abilità del trasmittente) e alla concezione dell' apprendimento come mimesi (imitazione pedissequa del modello).
Ciò é paradossale se si pensa che fu proprio Gorgia di Leontini (sofista siciliano nato nel 483 a.C.) a mettere pesantemente in dubbio la possibilità di controllare la comunicazione. Egli infatti affermò che: 1) nulla esiste 2) se esistesse non sarebbe conoscibile dall' uomo 3) se fosse conoscibile non sarebbe comunque comunicabile.
Qualche debito nei confronti di Gorgia sembra averlo così la teoria del "sistematico fraintendimento" nella comunicazione ( "é il ricevente che costruisce il significato").
E qualche parentela v' é anche nella raccomandazione che Canevaro rivolge agli educatori: badate che uno degli strumenti per la costruzione di un modello educativo non violento sta nella capacità di sviluppare in noi "l' abilità del ricevente" (la capacità di "intenzionare" in modo nuovo ed evolutivo il messaggio che l' utente ci consegna)!
Socrate
Nel 470 a.C. nasce Socrate.
Egli ci spiega che l' adesione al bene collettivo nasce dalla presa di coscienza individuale. Il focus si sposta sul soggetto. Esiste probabilmente una verità assoluta, universalmente valida ma per l' individuo essa non é mai un dogma a priori, qualcosa di predefinito nei suoi contenuti.
Viene piuttosto conquistata alla fine di un libero processo nel quale l' individuo esercita la propia razionalità. Il filosofo lo aiuta (grazie alla tecnica dell' ironia) a smontare le false opinioni e a "partorire" (maieutica = arte della levatrice) la verità.
Socrate supervisore
Sarebbe utile avere in équipe un supervisore che regolarmente ci ricordi che senza l' adesione (assunzione convinta e protagonista) del nostro utente il progetto non può andare avanti. Uno che metta alla prova ogni idea precostituita e ci guidi alla verità come risultato finale di una ricerca!
Socrate é padre delle "linee di resistenza" di cui abbiam parlato nel corso di Metodi: nessun primato del "già pensato", nessun "carisma" indiscusso di persone ed idee. Ogni spazio va vuotato dalle idee preconcette e dalle tradizioni autoreferenziali ("il già fatto") e riempito di "tempo vuoto" per la riflessione e per il dibattito culturale.
A Socrate si rifà chi intende l' educazione come offerta di esperienze ed aiuto nella rielaborazione; come "tirar fuori", maieutica (l' arte della levatrice. Guarda caso il lavoro della madre di Socrate); ma anche come "portar fuori" (dalla famiglia per esempio) ed emancipare (il lavoro del Mentore).
Così Socrate é anche il vecchio Sileno che guida il rito dell' iniziazione alla verità. Prepara un "setting d' apprendimento", un dispositivo (una finzione scenica, un copione o almeno un canovaccio di domande ben studiate) che conduce il giovane passo passo fino alla conoscenza matura. Non a caso Socrate é il maestro, il "Mentore" di Platone, ma lo è forse, in qualche modo, anche di Bettelheim che, ne "L' arte dell' ovvio" a lui si rifà abbondantemente.
Mi viene il sospetto che "ironia" (decostruzione?) e "maieutica" (far nascere, tirar fuori, e - ducere, insomma educare!) non dovrebbero essere estranei al bagaglio professionale di noi educatori.
Il Mentore
Mentore é l' amico di Ulisse che si prende cura dell' educazione di Telemaco in assenza dell' eroe itacense.
Il tema del Mentore come rappresentazione simbolica e metafora dell' educazione é stato ampiamente trattato durante le lezioni di pedagogia.
Nella famiglia, in generale, il formare é inteso come dare forma ma soprattutto come "tener dentro" (affettività).
L'educazione, invece, dovrebbe essere piuttosto "portar fuori".
Nella pedagogia greca la funzione di socializzazione educativa é svolta dalla figura del Mentore che funge da modello, da specchio adulto del giovane educando. Il Mentore ha una funzione emancipatoria.
Il termine deriva dalla radice indoeuropea men (= pensiero, forza vitale, anima)
A tale radice risalgono molti termini:
manzano (greco) = imparare studiare
ménos (greco) = animo
mens (latino) = mente
moneo (lat.) = guidare, far pensare, ammonire
ma anche:
man (inglese) = uomo
menschen (tedesco) = uomo, genere umano
Il Mentore dunque é chi guida, fa pensare, infonde vitalità.
E' colui che possiede tali capacità e diventa lo specchio di quello che il ragazzo potrà essere nel futuro.
L' educazione é anche, sempre, iniziazione.
Tutto ciò é ben visibile nell' affresco della Villa dei Misteri a Pompei.
In esso c' é il Sileno (che nella tradizione orfica guida i giovani nei riti iniziatici). Il Sileno porge al ragazzo una coppa. Ma specchiandosi in essa il ragazzo non vede se stesso ma il riflesso della maschera del Sileno che un altro giovane regge.
Attraverso il gioco della maschera e degli specchi si rappresenta così la metafora dell' educazione.
In essa l' educatore (il Sileno) è complice e mostra al ragazzo quello che potrà diventare in futuro (appunto un Sileno). Questa identificazione consentirà al ragazzo di avere un modello ed un riferimento.
Ma questo gioco di rimandi e di comunicazioni reciproche ha molti elementi inconsci e coinvolge tutti gli attori. Così anche il Sileno proietta nel ragazzo il giovane che é stato ed i propri desideri irrealizzati.
L' elemento educativo fondamentale sta proprio nel fatto che l' educatore restituisce al ragazzo una immagine di sé diversa, nuova e che prefigura il futuro. E' questa dinamica che promuove il cambiamento.
Il Mentore é vicino e lontano. In ogni caso é un estraneo, che porta fuori dalla famiglia.
Anche il Mentore é un incompiuto. Ha delle ferite ed é per questo che cerca un allievo (v. Kitting, il docente de "L'attimo fuggente" o Mac Leod, l' insegnante de "L' uomo senza (un) volto").
Del resto perché si fa l' educatore? Una lettura psicanalitica (che Cristina Palmieri condivide) ci risponde che lo si fa per curarsi una ferita. Il Mentore dunque promuove la soggettivazione (cioé l' individuazione del soggetto).Ma il confine fra soggettivazione ed assoggettamento é assai lieve ( non a caso soggetto ed assoggettato sono sinonimi). Imortante é che le dinamiche inconsce della relazione formativa (rispecchiamento, identificazione, proiezione) messe in gioco da entrambi gli attori trovino sul versante del formatore una consapevolezza ed un controllo ("la padronanza del formatore") che consenta alla fine all' educando la rottura dello specchio, della identificazione, la separazione dalla relazione asimmetrica col Mentore per assumere in autonomia la propria identità.
Analisi del film "L' uomo senza volto"
(The man without one face)
Ognuno dei due protagonisti (Mac Leod e Charles) ha un bisogno, cerca una identità.
Tale costruzione della propria identità avviene mediante un altro che è fuori del nostro mondo e che proprio per questo spaventa ed attrae nello stesso tempo.
E' un estraneo che proprio per ciò può valorizzarci.
La separazione finale potrà avvenire solo quando uno si individua (ha un volto). Solo a questo punto potrà accadere senza mettere in moto sentimenti d' abbandono e mancanza.
Il rapporto Mac Leod - Charles conosce tre fasi:
1) intuizione reciproca e complicità
2) affermazione del ruolo dell' educatore
Mac Leod afferma: "Io sono la legge. Ti devi affidare a me. Queste sono le mie regole".
3) costruzione dell' identità (soprattutto di quella di Chuck)
Charles nei confronti di Mac Leod conosce tre fasi:
1) l' idealizzazione
2) la crisi di fiducia
3) la ricostruzione
Mac Leod per un certo periodo rappresenta il padre cercato (vedi il sogno o il volo).
Il volo segna la chiusura del percorso formativo; siamo pronti alla separazione. Ma tale distacco sarebbe stato impossibile senza la crisi dell' idealizzazione.
Per questo Charles deve confrontarsi prima col Mac Leod reale ( che ha un doppio volto) e chiedergli: chi sei davvero? (il mostro pedofilo o il maestro?)
Mac Leod deve precipitare (dal gradino della idealizzazione). E lo fa nel sogno (il padre, nel sogno, diventa Mac Leod ed entrambi precipitano).
Alla fine Chuck riuscirà a recuperare in sé il positivo ed il negativo assieme: il padre amato e pazzo ed il maestro-mostro.
Nell' educazione giocano molte dinamiche inconsce. Spesso l' educatore ha solo mezzo volto. Ma ha una pretesa totalizzante e la vive come missione.
Queste dinamiche vanno comprese e padroneggiate.
Il Mentore fra visibilità e non visibilità, ovvero l' inquietante
(articolo di Angelo Franza)
Miei appunti (disordinati) di lettura: saltare a parte successiva
L' autore si propone come un ricercatore. Come un muratore la cui costruzione è in corso d' opera e non procede su disegno predefinito dall' architetto).
I lettori sono invitati nel mezzo del cantiere. C' é da sporcarsi, c' é più rischio, ma c' é più responsabilità e partecipazione.
Tema di fondo: il Mentore fra udibilità e non udibilità; fra visibilità e non visibilità (aspetti manifesti e latenti della sua azione).
Ciò rinvia al tema (inquietante e perturbante) della comunicazione. Essa non é solo esterna. Vi é anche una comunicazione interna, del soggetto con sé stesso.
Ogni volta che l' individuo incontra o crede di incontrare un Mentore deve ricostituire la propria identità.
Mentore, nell' Odissea appare e non appare. Attraverso di lui parla il Dio (Atena).
I "personaggi salienti" (definizione di Demetrio) riemergono di tanto in tanto nel nostro immaginario,ma in modo non del tutto consapevole o realistico.
Vi sono vari livelli di latenza:
1° tipo: sento, sono consapevole di qualcosa, ma non conosco i processi attraverso i quali ciò avviene.
2° tipo: faccio una cosa con un obiettivo ma le conseguenze future potranno essere altro (il latente é qui il possibile).
3° tipo: qualcosa che é già accaduto e che non abbiamo saputo riconoscere (a posteriori di solito si afferma: "date le premesse era inevitabile che finisse così"). E' un tipo di latenza che ci fa paura.
Il Mentore, in modo visibile ci fa fare delle cose, ma nello stesso tempo ne agisce altre nello spazio della non visibilità. E' un pò quel che accade nell' affresco del Villa dei Misteri a Pompei che descrive un rito di iniziazione. In esso il vecchio Sileno porge al giovane satiro una coppa d' argento, perché vi si specchi. Nella coppa però il giovane non vede il proprio volto, ma il riflesso della maschera di un vecchio Sileno. Così, lasciando l' identità di ragazzo può magicamente riconoscere l' adulto che è diventato (diventerà).
Questa magia é costruita mediante un setting accurato. In esso la coppa sta al giovane efebo come la maschera sta al vecchio Sileno. Si da una metafora percettiva cui corrisponde anche un ametafora linguistica. Così: 1) la maschera é il giovane della coppa 2) il giovane é la maschera della coppa 3) il giovane è la maschera del vecchio Sileno. La maschera é il giovane Sileno.
Si da una doppia identità ed un doppio rispecchiamento, che é confusione (il giovane si vede come adulto = al vecchio maestro; il maestro vede sé stesso da giovane nel giovane Sileno).
L' incontro é "in maschera": la maschera che il maestro offre di sè al giovane e quella che vede del giovane (nel quale in realtà proietta sè da giovane); la maschera che il giovane vede del maestro (come sè adulto nel futuro).Avviene una relazione collusiva.
Ci sono poi tre processi di identificazione (adesiva, introiettiva, proiettiva) e, inevitabilmente, idealizzazione. In tutta questa relazione c' é una parte visibile (l' aggancio da parte del Mentore e l' apertura, la disponibilità del giovane). Ma ci sono poi molti elementi latenti.
Vi sono due teorie della comunicazione utili per la nostra analisi.
La prima teoria afferma che avviene un appiattimento della capacità interpretativa di chi ascolta su chi si esprime. E' la teoria della mimesi che considera l' apprendimento come imitazione (comunicazione come affinamento dell' esperienza e imitazione). Essa é influenzata dal pensiero di Darwin.
La seconda teoria é quella "del sistematico fraintendimento" (già di Gorgia): è il ricevente che costruisce il significato (magari diverso dalle intenzioni di chi parla). Il significato comune é costruito poi per aggiustamenti e patteggiamenti.
La prima teoria presuppone che, se si comunica secondo date modalità, si da inevitabilmente quel significato definito. La seconda ritiene che chi parla induce nel ricevente un processo mediante cui sarà quest' ultimo a produrre il significato.
La formazione, per la prima teoria, si fonda sulla mimesi del maestro. Per la seconda invece si fonda sull' anamnesi (ricordo, rimemorazione e continua ricollettazione). In questa seconda modalità vi é un ulteriore effetto di latenza (legato agli apporti delle mie strategie di apprendimento, delle mie capacità, dei miei vissuti ecc.)
Nella teoria della formazione come mimesi tutto é centrato sula figura del Mentore. Tutti i processi educativi dipendono da lui. E qui egli gioca da un lato su un piano manifesto, ma dall' altro inserisce un ulteriore elemento di latenza, ovvero l' influenza che egli esercita nella strutturazione nell' allievo delle stretegie d' apprendimento che egli si porterà dietro per sempre.
Un altro elemento della formazione é il tempo. Le figure salienti (Mentore compreso) devono assumere nel tempo dei ruoli diversi. L' obiettivo della formazione é procedere oltre il rispecchiamento,rompere lo specchio, liberarsi del Mentore. Il Mentore - dice Franza - deve rendere visibile tutto quello che può esser reso visibile, perché, attraverso le sue parole, l' allievo divenga regista del proprio film.
Scorrendo un manuale di storia della pedagogia: riflessioni in libertà (seconda parte – di 4)
di Paolo Teruzzi (me ne scuso anticipatamente)
Questo
lavoro seguirà essenzialmente la traccia offerta dal capitolo sulla
storia della pedagogia curato da Maria Grazia Riva in "Istituzioni di
pedagogia e scienze dell' educazione" di Riccardo Massa - Ed. Laterza -
1991
L'
idea guida é di cercare nella storia della pedagogia elementi di
contatto con i temi trattati nel corso di riqualifica per educatori
professionali in servizio da me seguito e con mie esperienze
professionali e di volontariato.
Note per il lettore
Il
filo della narrazione e le note tratte dalle lezioni del "Corso di
riqualifica per educatori professionali in servizio" saranno in
carattere normale.
Le notazioni storiche verranno scritte in grassetto.
Le riflessioni più personali saranno in corsivo.
Riferendomi
alle persone che fanno ricorso ai nostri servizi userò i termini di
utente, paziente o ospite. Ospite rimanda a un universo di significati
certamente più dignitoso. Ma alle volte, di fronte alla materialità
concreta delle nostre offerte di servizio, trovo più pudico l' uso degli
altri due termini.
Platone
Nel 428 a. C. nasce Platone.
E', come già detto, un allievo di Socrate.
Nel
"mito della caverna" egli ci spiega che la verità é reminiscenza
(anamnesi). La nostra anima, immateriale, prima di unirsi al corpo, ha
contemplato la verità (la realtà intelligibile) nel mondo iperuranio.
Poi é precipitata nel corpo ed é da allora imprigionata nei limiti della
conoscenza sensibile (che é apparenza).
L'
uomo dunque è come uno schiavo che, incatenato alla nascita sul fondo
di una caverna, non ha mai visto le cose reali ma solo le ombre delle
cose reali proiettate sulla parete di fondo da un gran fuoco acceso
fuori dell' imboccatura. L' uomo conserva della verità (la conoscenza
intelligibile) una vaga reminiscenza. La verità va riportata alla
coscienza mediante il lavoro di critica della conoscenza sensibile e delle false opinioni già descritto da Socrate.
Nel
mito dell' auriga poi Platone descrive l' anima. Da un lato essa è il
cavallo nero della pulsione, della spinta bruta alla corporeità e alla
materia; dall' altro è il cavallo bianco della spiritualità e della
tensione verso le idee eterne del mondo iperuranio. L' auriga é la
ragione che tenta di tenere a bada il carro alato e di condurlo alla
conoscenza.
Sembra
di poter cogliere qui qualche assonanza (sia pur lontana) con la
seconda "topica" (io / es / superio) di Freud (che fu peraltro attento
studioso dei miti greci).
Ma
Platone é anche e soprattutto un aristocratico (nemico della democrazia
ateniese). Immagina così uno "Stato ideale" retto dalla classe dei
governanti - filosofi, difeso dalla classe dei guerrieri e mantenuto
dalla classe dei lavoratori. E'
una società aristocratica e comunista ad un tempo, in cui i filosofi
governano solo perché sanno di avere il dovere morale di farlo. Platone
immagina di fondare questo stato su di un sistema educativo molto
elaborato. Le due classi preminenti (i filosofi e i guerrieri) avranno
infatti un' educazione vasta, fondata su musica, ginnastica, matematica,
dialettica e politica. Per la prima volta anche le donne saranno
ammesse all' istruzione (mentre Aristotele pensa che siano prive di
cervello).
Anche se il modello é piuttosto impositivo e di parte, la costruzione platonica offre questa idea fondamentale: la pedagogia (attraverso un curriculum di studi definito) é in grado di formare gli uomini adatti al modello sociale scelto.
Dunque
la pedagogia che emerge dall' impianto platonico é ad un tempo scienza
pratica (disciplina organica diretta al cambiamento), ideologia
(dispositivo educativo mirante a realizzare nella pratica un definito
modello di società), utopia (tensione verso un obiettivo ideale).
Altra interessante suggestione é l' idea di verità come memoria (anamnesi).
Ed anamnesi é il termine che Franza usa nel suo articolo sul Mentore, letto durante il corso di pedagogia.
Alla teoria della formazione come mimesi (imitazione del maestro) Franza contrappone quella della formazione come anamnesi, ricordo, rimemorazione e continua "ricollettazione" (dell' esperienza, del sapere, ma anche di sé stessi).
Infatti
oltre alla comunicazione esterna (fra formatore e formando, ad esempio)
esiste anche, dice Franza, una comunicazione interna (quella che il
soggetto intrattiene con sé stesso mentre "risistema" di volta in volta
il proprio mondo di conoscenze e sensazioni e la sua stessa identità).
Ed
ancora: come nell' anima platonica si cela il ricordo della verità
contemplata un tempo, al fondo della memoria del nostro utente é
possibile ritrovare la verità di un' identità più complessa che le
vicende della vita e l'
uso di sostanze hanno col tempo impoverito ed appiattito. Occorre
ripercorrere a ritroso il cammino,"le storie di vita" (in singolare
contrasto con il "fare le storie" cui spesso si riferiscono i
tossicodipendenti per indicare il loro monotono trascinarsi alla ricerca
della "roba") per favorire la ricostruzione di una "pluralità di identità"
(fondamentale fattore di cambiamento per il processo riabilitativo).
Come lo schiavo platonico spezza le catene ed esce dalla caverna
contemplando finalmente la realtà, così lo schiavo della droga "esce dal
tunnel" e contempla quel sé diverso che potrà divenire.
Sicuramente
Platone ci suggerirebbe poi una formazione multidisciplinare e ci
inviterebbe a costruire un setting elaborato e curato nei dettagli.
Non
ha dubbi rispetto alla possibilità di formare gli uomini secondo
principi predefiniti. Questo lavoro però lo possono svolgere, secondo
lui, solo i pensatori. Solo loro possono governare i processi sociali.
Senza pensiero, dunque, non c' é formazione, né promozione di cambiamento.
Nella
sua ambiziosa utopia sociale Platone sembra proporci un modello
educativo ibrido che congiunge aspetti del modello per identificazione
positiva (il filosofo come guida illuminata) ad altri tipici del modello
fondato sulla presenza di un persecutore (società rigida, gerarchica,
ruoli sociali predefiniti ecc.).
E
il suo filosofo - governante appare come il Mentore che guida la
società immatura (e le altre classi inconsapevoli) ad una verità che
egli solo (pre)vede.
Aristotele
Aristotele nasce nel 384 a.C. e muore nel 322 a.C.
Allievo
di Platone e maestro di Alessandro Magno, si oppone al dualismo posto
da Platone (la realtà intelligibile come vera realtà, da un lato; e la
realtà sensibile, come illusione, dall' altro). Non c' è separazione,
secondo lui, fra mondo delle idee universali e mondo degli oggetti
individuali. La vera ed unica realtà é l' individuo. Tuttavia, ciò che
gli da attualità, cioé che ne fa una sostanza, é l' universale, inteso
non come avente una esistenza autonoma, ma come una "forma" immanente all' essere reale.
Nell' "Etica
nicomachea" e nella "Politica" Aristotele afferma che c' é una
educazione adatta ad ogni forma di governo (monarchia, aristocrazia,
democrazia). Dunque l' educazione dominante ha una finalità di
riproduzione.
Aristotele,
pur riconoscendo all' educazione una finalità sociale, la colloca poi
(con l' etica, la politica e la poetica) fra le "scienze pratiche" o
scienze del possibile e del verosimile. Egli
preferisce occuparsi delle "scienze teoretiche" (fisica, biologia,
psicologia, matematica, logica) o "scienze del necessario".
Aristotele in équipe
Di certo non mancherebbe di evidenziare il carattere ideologico (In senso neutro) di ogni modello educativo.
Sappiamo
infatti che ad ogni proposta educativa sono sottese (anche se quasi
sempre in modo implicito, non manifesto) un' idea di educazione, un'
idea di salute, un' idea di società e in definitiva un' idea di uomo
peculiari.
Inoltre
possiamo accettare come utile monito l' osservazione che l' educazione è
una "scienza pratica" (con un apparato definito di tecniche e metodi)
ma condannata a dibattersi nel dominio complesso del possibile e del
verosimile, il che impone un approccio cauto e non dogmatico.
Filippo il Macedone conquista la Grecia (338 a. C.)
La
"polis" greca é in declino. La partecipazione popolare alla politica si
attenua fino a scomparire. Anche la filosofia si ritira dalla sfera
politica e segue il soggetto nel suo ripiegarsi su sé stesso (con le
diverse modalità, però, dei Cinici, degli Scettici, degli Stoici o degli
Epicurei).
Intanto l' Impero Macedone rompe le frontiere e pone le basi dell' universalismo e del cosmopolitismo.
Alessandro Magno
Ad
Alessandria d' Egitto Alessandro raccoglie opere d' arte e libri
provenienti da tutto il mondo conosciuto. Al mondo chiuso e
"monoculturale" della "polis" succede la "cultura del viaggio", l'
incontro con la diversità. E' l' epoca che viene definita "ellenismo". I
suoi confini temporali vengono convenzionalmente identificati con la
morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e con la conquista romana dell'
Egitto (30 a.C.). E' un' epoca di enorme sviluppo delle scienze e dell'
erudizione. La filosofia greca si espande per i confini dell' impero ma
incontra nel contempo altre religioni, i culti misterici, l' astrologia e
la magia.
Alessandro Magno educatore:
Quando
un mondo chiuso (una comunità) entra in crisi, due sono le vie. Da un
lato ci si può richiudere in sé stessi, in un' autarchia difensiva ma
sterile. La seconda via invece é quella dell' apertura, della messa in
discussione, del confronto con esperienze altre (il meccanismo di
transizionalità cui abbiamo accennato citando Husserl nel corso di
pedagogia generale: la capacità cioé di mettersi nell' ottica altrui).
Alessandro
Magno, in proposito potrebbe insegnarci che la globalizzazione é una
opportunità. Ma, come rileva l' economista Amartya Sen, neo premio Nobel
indiano, quella dell' economia non basta. Occorre la globalizzazione
della cultura, nella valorizzazione delle differenze e dello scambio.
Alessandro
potrebbe spiegarci che non basta imporre d' arbitrio la propria
comunicazione perché gli altri assumano per "mimesi" (v. corso di
pedagogia) lo stesso modello culturale. Ogni relazione (e a maggior
ragione quella educativa o di servizio) impone la conoscenza dei diversi
codici comunicativi esistenti al mondo. Egli ci spiegherebbe che per un
tossicodipendente marocchino spesso non é naturale accettare l'
autorità di un' operatrice femmina. Che per una donna mussulmana la
visita di un ginecologo maschio può essere traumatizzante. Che un
bambino cinese a scuola ride per cortesia e non per disturbare e che gli
standard di severità delle mamme cinesi sono assai più rigidi dei
nostri. Che per un indù non é naturale salutare stringendo la mano. Che
per un senegalese é sconvolgente vedere i nostri anziani al ricovero (e
così via...).In definitiva, a dispetto della sua qualità d' imperatore e
di autorità suprema, Alessandro potrebbe indicarci molti temi che sono
le fondamenta del nostro costruendo modello di educazione non violenta
(attenzione alle sfumature, abilità del ricevente, rispetto dell'
alterità, conoscenza della storia dell' altro, costruzione di ponti
relazionali ecc.)
nel 146 a.C. Roma conquista la Grecia
All'
inizio Roma ha i valori tipici di una società agraria. Fino alla metà
del I sec. a. C. (e soprattutto nel periodo repubblicano, fino alla
dittatura di Cesare) Roma tende a conservare una propria autonomia dalla
cultura greca. Respinge, ad esempio, l' amore pederastico (che nella
società greca rappresenta invece un' istituzione solida e fondamentale
nel processo di iniziazione dei giovani ai valori e alle carriere delle
classi eminenti).
Ma il peso della cultura greca è tale da imporre alla fine una influenza vastissima.
Così
i curricola d' istruzione vengono interamente ripresi dai modelli greci
e l' educazione a Roma viene totalmente orientata secondo gli obiettivi
della classe dominante. Durante il periodo repubblicano l' individuo ha
un ruolo solo al servizio dello Stato. Durante l' Impero (e soprattutto
durante il "Basso Impero") l' individuo scompare totalmente dalla scena
politica e trova rifugio nella filosofia o nella religione cristiana.
La
vicenda del conflitto in cui Roma prevale dal punto di vista politico e
militare, ma la Grecia sconfitta vede trionfare la propria cultura ci
offre alcune riflessioni importanti anche per il nostro lavoro. In primo
luogo chi ha valori, ma non sa tradurli in dispositivo culturale
elaborato e in pratica educativa prima
o poi viene colonizzato da chi questo apparato culturale ce l' ha (sia
pur esso costruito per imporre valori deteriori, come ad esempio il
consumismo).
La
cultura dunque è apparato e potere, spesso più forte di quello
militare; così come è potere il linguaggio. E noi, nel nostro lavoro,
disponiamo del potere della cultura (la "filosofia" dell' Ente per cui
lavoriamo) e del linguaggio. Questa considerazione ci impone di
controllare il nostro potere se non vogliamo schiacciare l' utente.
Un'
altra suggestione é offerta dalle riflessioni fatte nel corso di
pedagogia sulla figura del Mentore. Non a caso Mentore é personaggio
omerico, amico di Ulisse e precettore di Telemaco. Spesso Minerva ne
assume le sembianze per consigliare il giovane.
La
Grecia funse in qualche modo da "Mentore" di Roma. Con la magia della
propria cultura più raffinata costruì un gioco di specchi capace di
attrarre la meno smaliziata civiltà romana nella propria rete. Il che
vuol dire che a certe dinamiche latenti di seduzione e controllo sono
esposti non solo gli individui, ma persino i popoli.
il cristianesimo
Nei
secoli successivi il cristianesimo si diffonde. Nel 313 d.C., con l'
editto di Costantino, diviene addirittura religione dell' Impero romano.
Esso promuove una visione universalistica ed offre a tutti una speranza
di salvezza. Presto la Chiesa assume un importante ruolo culturale.
Mentre ad oriente
i monaci si dedicano all' ascesi e al misticismo, ad ovest i monasteri
divengono centri di cultura e di istruzione (raccolgono e copiano a mano
testi antichi; organizzano scuole e corsi d' istruzione).
Elogio dell' amanuense
Lavoro
umile ma indispensabile! Senza di lui nulla sapremmo delle origini
della nostra cultura e di certo la nostra cultura attuale sarebbe assai
più povera.
Nel
nostro lavoro dovremmo assumere l' attitudine dell' amanuense:
scrivere, archiviare, annotare e creare così una incancellabile memoria professionale.
I Padri della Chiesa
Agostino
Fra
i padri della Chiesa fondamentale é l' opera di Agostino (n. 354 d.C. a
Tagaste, in Africa). Egli utilizza anche gli strumenti della cultura
pagana (es. lo studio della retorica) per meglio comprendere le
Scritture. Nel "De magistro", con chiara influenza neoplatonica, afferma
che il maestro guida a riscoprire la verità che é dentro di noi, verità
con cui Dio ha illuminato la nostra anima alla nascita ma che va
cercata nella coscienza.
Nel
"De civitate Dei" disegna per la Chiesa un ruolo spirituale non avulso
dalle vicende della storia. La "città di Dio" é ultraterrena ma, come
direbbe Sartre, deve "sporcarsi le mani" e lottare anche nella storia
mondana contro la "città degli uomini".
Agostino
valorizza anche il ruolo della ragione. La conoscenza vera procede
dall' illuminazione divina, dalla fede; ma la ragione ha un proprio
ruolo: consente di assumere consapevolmente la fede.
Interessanti
poi, dal punto di vista pedagogico e didattico, le indicazioni tecniche
che Agostino offre ai maestri di catechismo nel "De catechizandis
rudibus", in cui, per esempio, consiglia loro modalità diverse a seconda del tipo e del numero degli uditori).
Ripensando ad Agostino
Egli
ci offre l' esempio di una mentalità flessibile, aperta ad apporti
inusuali (lo studio dei pagani). La nostra "città dell' educazione",
come la sua "Città di Dio" dovrà imparare a sporcarsi le mani nella
lotta mondana (nella pratica quotidiana) e la fede che ci accende dovrà
armarsi di strumenti razionali (non basta "la missione", occorre
pensiero, tecnica, metodo).
Nel 476 d. C. cade l' Impero Romano d' Occidente.
Le invasioni barbariche ( III - VI sec. d.C.) si susseguono fino al crollo definitivo dell' Impero romano d' Occidente.
Alla
caduta dell' Impero romano d' Occidente le società barbariche vivono in
condizioni di povertà (alta mortalità infantile) e si fondano sulla
fedeltà al clan, sul concetto di onore e su una visione magica della
vita (costellata da streghe spaventose e vendicativi spiriti dei morti).
L' idea stessa di istruzione formale é estranea a queste società.
Nel
VI e nel VII secolo d.C. tutte le scuole pagane chiudono. Per i non
barbari delle classi superiori l' unico percorso d' istruzione rimane
quello della formazione in famiglia o delle scuole monastiche o
ecclesiastiche. In esse si impone un modello di educazione tollerante
dei bisogni infantili ma assai rigida con gli adolescenti.
Per le classi popolari l'unica istruzione é quella che passa attraverso sermoni e prediche in Chiesa.
Si
realizza così un dispositivo educativo molto importante, che mira alla
interiorizzazione della norma e allo sviluppo di sensi di colpa. Le
norme storiche vengono presentate come assolute e di origine divina. La
gente vive in un clima di pesante paura del peccato e delle punizioni.
Sostanzialmente,
osserva Maria Grazia Riva, la significazione pedagogica (il senso dell'
educazione), dal V all' XI secolo d. C. si realizza secondo due vie
collegate: da un lato la via catechetico-morale (imposizione di rigide
norme morali); dall' altro la via di una formazione diffusa ("clima
religioso", cavalleria ecc.) che tende a riprodurre un sistema sociale
sempre uguale a sé stesso.
Le
invasioni barbariche creano un clima di generale insicurezza e
favoriscono il nascere di una aristocrazia guerriera, capace di
"proteggere il popolo".
Così
contro i nuovi "barbari" della droga (spacciatori vari, meglio se
albanesi, tunisini, colombiani ecc.) si ersero negli anni 80 e 90 molte
figure di paladini armati. Il popolo senza difese (gli utenti fragili,
ma anche la società imbelle e propensa alla delega) consegnò la propria
libertà e responsabilità a guerrieri coraggiosi e talora a brutali
soldati di ventura che vennero poi per tali meriti nobilitati (vedi "Le patriarche").
L' epoca carolingia
Nel
IX secolo Carlo Magno, re dei Franchi (742 - 814 d.C.) sconfigge i
Longobardi in Italia, i Sassoni, gli Avari di Pannonia e si annette la
Bretagna. A tutti impone il cristianesimo. Sconfitto a Roncisvalle
rinuncia alla conquista della Spagna mussulmana ma da il via ad un
progetto di restaurazione dell' Impero romano d' Occidente (che battezza "Sacro romano Impero").
Dal
punto di vista politico il nuovo Impero si regge su una struttura che
verrà definita Feudalesimo. E' un sistema di organizzazione sociale
dominato dalla classe guerriera sopra menzionata. Il territorio vien
suddiviso in "feudi" (denominati marche e contee, a seconda dell'
estensione e dell' importanza) che vengono affidati a vassalli (o
feudatari), uomini legati al sovrano da un legame di diretta dipendenza
(fedeltà, dipendenza economica, ma anche, spesso, parentela).
Carlo
Magno crea scuole di corte ("palatine") per i giovani nobili e
favorisce la diffusione delle scuole dei monasteri e delle cattedrali
(le scuole vescovili). Per la prima volta istituisce anche un gran
numero di "scuole rurali" (popolari).
Da
tutte queste scuole usciranno i quadri del suo Impero. Egli fonda
infatti il proprio sogno di rinascita della civiltà latino - cristiana
sull' idea di una grandiosa riforma educativa.
Inutile
aggiungere che ce ne deriva questa lezione: qualsiasi intervento
educativo deve fondarsi su una progettazione ampia, su una adeguata
strumentazione e su una articolata realizzazione pratica.
"Suggerimenti medievali":
E'
chiaro che, per quanto "barbari" siano i nostri utenti (col loro mondo
di rappresentazioni illusorie) un dispositivo fondato sulla paura del
"peccato" (in senso lato) e della punizione e sulla assolutizzazione
delle norme (vedi modello fondato sulla presenza di un persecutore) é
"roba da Medioevo" e che anche il lavoro perché le norme vengano
introiettate richiede cautela e rispetto dell' alterità (della persona
dell' altro).
Il XII secolo vede in Europa una complessiva ripresa economica, demografica e sociale.
Gli artigiani assumono un ruolo più importante e costituiscono le corporazioni (o gilde o universitates).
Speciali
gilde riuniscono gli aspiranti maestri e gli aspiranti studenti che si
battono contro le scuole delle cattedrali, le quali si riservano il
diritto esclusivo di concedere la "licentia docendi". Col tempo tali
Universitates si costituiscono come enti giuridici e ottengono il
diritto di conferire un titolo "universitario" ("ius ubique docendi").
In esse gli studenti pagano i docenti ma conquistano anche il diritto di
discuterne programmi ed insegnamento.
Col
tempo tutto questo movimento produce un fiorire di strutture. Sorgono
anche collegi (con interni) per i meno abbienti. Gli insegnamenti
iniziano a diversificarsi per età. Si inizia a distinguere fra infanzia e
adolescenza e comincia a farsi lentamente luce l' idea di un periodo di
transizione dall' infanzia all' età adulta (nell' alto medioevo il
bambino era considerato uguale all' adulto). Nel 1400 si inizia a
pensare al bambino come fragile, da proteggere. Intanto molti dei
ragazzi delle famiglie meno abbienti vengono affidati al maestro di
bottega. Le ragazze per lo più svolgono il loro apprendistato
professionale e sociale in famiglia.
La
famiglia, per tutto il Medioevo, rimane grande, allargata, totalmente
inserita in una rete di relazioni sociali (la contrada, la corporazione,
il mestiere ecc.),
Nel
Medioevo l' educazione é diffusa e nasce dalla vita nel gruppo. E' il
gruppo d' appartenenza che definisce l' identità sociale dell' individuo
e i suoi valori di riferimento.
Fondare
il nostro lavoro sulla vita del gruppo e sul senso di appartenenza può
servire in fase transitoria, ammesso che sia utile, a creare nell'
utente una "dipendenza positiva", a proporgli dei valori alternativi ed
una nuova identificazione. Ma poi occorrerà prepararci al suo
"Rinascimento", alla rivendicazione di una propria autonomia. E qui la
"corporazione" dovrà farsi da parte senza resistenze.
La comunità, l' Ente, la Struttura in cui si lavora potrebbe prendere a modello le vivaci Universitates medievali in cui anche lo studente, che paga, ha diritto di dire la sua rispetto ai metodi e ai programmi. Ed anche i cittadini dovrebbero ispirarsi a quel modello di partecipazione.
Oggi
troppo spesso pagano per finanziare un servizio (di prevenzione e
riabilitazione) la cui gestione é totalmente delegata all' Ente Pubblico
o all' Ente no profit. Tale scollamento inaridisce la coscienza
collettiva e favorisce la cristallizzazione dei servizi che diventano autoreferenziali, votati principalmente a perpetuare sè stessi.
Il Rinascimento
Il Feudalesimo lascia posto ai Comuni e alle Signorie, mentre si prepara l' avvento dei primi grandi stati nazionali.
Dalla fine del 1300 alla metà del 1500 la cultura europea è contrassegnata dal grande fermento innovatore del Rinascimento.
Soprattutto
in campo letterario tale cultura trova espressione nell' Umanesimo.
Esso si propone di recuperare la cultura dei classici greci e latini e
di rivalutare l' uomo e la sua dignità. In realtà l' Umanesimo non é
movimento intenzionalmente antireligioso o agnostico, ma apre la porta
alla rivalutazione delle abilità dell' uomo e dei piaceri stessi in un'
ottica che è destinata a scontrarsi con la visione oscurantista dellla
Chiesa del tempo.
D' altro canto si sviluppa anche un forte interesse per la scoperta della realtà e per l' intervento dell' uomo sulla natura.
Di
qui il rifiuto della scolastica (che ispirata al pensiero di Tommaso d'
Aquino, cristallizza la filosofia nel ruolo gregario di "ancella della
teologia") e l' adesione al naturalismo filosofico. Così Giordano Bruno,
ad esempio, difende fino alla morte sul rogo (1600) la nuova concezione
eliocentrica copernicana (condannata dal Sant' Uffizio che considerava
invece la concezione geocentrica di Tolomeo come cardine della fede) e
per lo stesso motivo Galilei, straordinario assertore del metodo
sperimentale, finisce i suoi anni in confino ad Arcetri. In questo clima
di libera ricerca si colloca anche la spregiudicata e realistica
analisi della politica proposta da Machiavelli.
Il commercio e la teconolgia conoscono un forte sviluppo (nel 1453 Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili).
Così
nel 1400 si fa largo l' idea che l' uomo é artefice del proprio destino
e non più esclusivamente asservito al dovere religioso.
V' é una forte ripresa dello studio dei classici latini e greci. Il Papato stesso alla fine si trova costretto a condividere
queste spinte innovative ed i Gesuiti applicano nelle loro scuole molti
dei suggerimenti pedagogici elaborati in quest' epoca.
Erasmo da Rotterdam (1466 - 1536) rappresenta il principale tentativo di conciliazione fra umanesimo e cristianesimo.
Chiuse da tempo le Università, fioriscono le Accademie.
Le
Corti divengono il luogo della cultura e della innovazione pedagogica.
Si moltiplicano i trattati sull' educazione dell' "uomo nuovo"
(Vergerio, Leon Battista Alberti, Baldasar Castiglione ecc.).
Sorgono
delle vere e proprie comunità educative (Guarino da Verona, Vittorino
da Feltre) in cui si realizza una nuova relazione maestro - allievo e si
propone un modello di educazione non violenta ed integrale (formazione
fisica garantita da equitazione, danza, scherma e caccia e formazione intellettuale basata sullo studio dei classici latini e greci).
E'
chiaro che tutto questo fermento tocca solo l' aristocrazia. L' "uomo
nuovo" di Baldasar Castiglione o del "Galateo" di Monsignor della Casa é
appunto il cortigiano (col suo ideale di raffinatezza e misura).
Ma
interessante, dal punto di vista pedagogico, é il fatto che la
formazione sia perseguita attraverso tecniche elaborate ad hoc.
Nel nord Europa, intanto, sorgono le prime scuole commerciali (dove si studiano geografia, contabilità, lingue).
Ciascuno di noi dovrebbe promuovere un piccolo "Umanesimo" dove lavora.
Far "rinascere" l' idea che "l' uomo (e non il programma) é artefice del proprio destino".
Ciò richiede maggior rispetto dell' altro (dell' utente) e la sua responsabilizzazione; in poche parole un approccio non violento (come insegna Vittorino da Feltre) ed una visione della pedagogia come (sana e propulsiva) utopia (v. Palmieri).
Inoltre, sull' esempio degli educatori rinascimentali dovremmo recuperare un' attitudine di ricerca e sperimentazione,
una maggior fantasia nell' innovazione e la consapevolezza del fatto
che il nostro é un lavoro che si fonda sul pensiero ma si organizza
secondo "tecniche e metodi".
Per
un singolare paradosso la nostra attuale formazione "umanistica" (ma
qui il termine é improprio e forse sarebbe meglio dire idealistica o
gentiliana) ci lascia spesso impreparati (quando non diffidenti) di
fronte alla innovazione tecnologica (che oggi, anche in campo didattico
ed educativo, ha enormi prospettive di sviluppo). Ed é un peccato,
perché, come rilevano Tomkiewicz e Vivet nel loro "Educare o punire", anche l' omissione
(istituzioni senza progetto, rifiuto della pedagogia, mancata
riflessione, ripetizione pedissequa del "già fatto", del "gia pensato"
ecc.) é violenza.
RIFORMA E CONTRORIFORMA
Nel 1517 Lutero espone le sue tesi.
La Chiesa di Roma é in totale decadenza (vendita delle indulgenze, ignoranza e corruzione del basso clero ecc.).
In
Germania il desiderio di rivolta dei contadini viene sfruttato in
chiave d' autonomia dai principi tedeschi che sostengono a tal fine il
movimento luterano.
Lutero sostiene che ogni credente deve giungere a una diretta relazione con Dio.
Uno degli strumenti è la lettura (e la libera, personale interpretazione) delle scritture.
Per questo ovunque (e soprattutto nelle campagne) sorgono scuole.
Un
altro cardine del credo luterano è l' idea che la salvezza (e il
successo sociale) non dipendono dalle opere se non in quanto esse sono
il frutto della Grazia divina.
La
Chiesa cattolica risponde alla "Riforma" luterana mettendo in campo un
enorme dispositivo d' interventi che viene denominato appunto
"Controriforma".
Sorgono
collegi e seminari; vengono fondati nuovi ordini religiosi. I Gesuiti,
ad esempio, nascono proprio in chiave antiprotestante e sono la punta di
diamante del nuovo sistema educativo. Nei loro istituti ogni istante
della giornata é posto sotto controllo (Michel Foucault parla di
"sguardo panottico" e di punizioni corporali elaborate secondo una
"tecnologia del corpo" che mira ad agire, attraverso il corpo, sull'
anima: "per l' uomo disciplinato, come per il credente, nessun dettaglio
é indifferente").
La
Controriforma peraltro, in questa volontà di rilancio dell' influenza
cattolica, si preoccupa anche di promuovere scuole popolari gratuite in
cui si studia il volgare (gli Scolopi, I Barnabiti, i Somaschi e le
Scuole Pie).
In
questo periodo storico, intanto, la famiglia comincia ad evolvere
lentamente. Da famiglia allargata e totalmente inserita nel gruppo
sociale (tipica del mondo agricolo e della società
medievale) si appresta a divenire col tempo famiglia nucleare,
piuttosto chiusa al mondo esterno (e più funzionale ai nuovi modi della
produzione preindustriale).
Questo
processo tende progressivamente a valorizzare le abilità individuali
del giovane piuttosto che a garantire la sua uniformità al gruppo
sociale.
Così l' educazione evolve da un modello di formazione diffusa ad una di educazione intenzionale.
La
famiglia allargata ed il gruppo sociale come luoghi di una formazione
diffusa lasciano progressivamente il posto alla famiglia nucleare in cui
l' individuo trova una maggior valorizzazione. E' il percorso
inevitabile della società occidentale che porta da un lato alla
emanazione della Carta dei Diritti dell' Uomo (riconoscimento del comune
"essere uomo", base di una nuova possibile fratellanza e solidarietà
universale) e dall' altro conduce a spinte di disgregazione sociale.
Spesso
si é cercato di arrestare questo inevitabile processo alle soglie delle
nostre comunità per tossicodipendenti. In esse qualcuno ha tentato di
tenere in vita modelli arcaici: comunità di ispirazione religiosa (in
odore di controriforma) o strutture legate al capo carismatico
(anacronistiche Signorie).
Oggi
la nuova "utenza" (da ecstasy e metamfetamine varie) pare modellata
secondo i crismi più schietti dell' efficientismo (e dell'
individualismo) occidentale. Prima che la compromissione si manifesti in
modo devastante questi giovani ipertonici lavorano e si divertono in
perfetta sintonia col ritmo frenetico della nostra società.
A
differenza degli eroinomani del decennio scorso, più attratti dagli
anestestici che dagli stimolanti, questa nuova generazione pare poco
propensa ad un ritiro monastico in comunità di stampo medievale.
E' dunque tempo di ripensare radicalmente il modello della comunità degli anni 80 e 90.